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Cosa mettiamo noi esseri umani al primo posto in ogni nostro interesse, attività, relazioni, risultati, eccetera? Troppo facile, mettiamo senz'altro il nostro benessere e la nostra felicità. Naturalmente ci sta a cuore il benessere personale, ma sicuramente anche quello delle persone che ci circondano e della società in generale. Ci piace pensare che il benessere sia il risultato di un contributo equo di ogni persona, che fornirà il suo apporto in relazione alle sue competenze, all'ambiente e al coinvolgimento di cui sarà preda. Ma il contributo personale può crescere, può sempre crescere, in particolare quando la persona ne possa percepire un vantaggio immediato. Questo tipo di miglioramento, quindi, non solo è potenzialmente sempre presente, dato che le nostre capacità sono sempre sfruttate solo in parte, non solo è auspicabile, per ovvii motivi, ma può essere sviluppato, in qualsiasi ambito, familiare, lavorativo o associativo, attraverso stimoli opportuni.

Per ottenere il miglioramento tanto anelato, occorre cambiare le cose, dato che la stasi non porta naturalmente ad alcuna variazione e quindi tanto meno ad un miglioramento. Il cambiamento è quindi necessario. Sappiamo bene che ogni cambiamento porta con sè quasi sempre preoccupazioni, spesso qualche paura e a volte anche dolori, associati alle preoccupazioni e paure. Sono rari i casi di panico, fortunatamente, ma anche in quei casi si può intervenire per correggere il piano d'azione, fornire spiegazioni e formulare una strategia che permetta di superare gli ostacoli. Nell'ambito del miglioramento continuo il nostro compito è facilitato dal fatto che il cambiamento è richiesto, appunto, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, per cui è più facile superare ogni comprensibile scetticismo e resistenza iniziale. Inoltre, il cambiamento può essere realizzato con un piano graduale, in modo che il maggiore contributo richiesto a tutti sia ottenibile senza un eventuale o addirittura senza alcuno scompenso o effetto collaterale.

Come si è capito, è chiaramente opportuno che il cambiamento sia frutto di un preciso progetto. Il che si traduce, ovviamente, in un'attenta analisi della situazione, nell'individuazione delle cose da cambiare, nel motivare le persone a cambiare e nel realizzare, coi tempi giusti, un preciso piano d'azione. In ogni fase è poi opportuno coinvolgere, nei modi giusti, tutti gli attori che giocheranno i nuovi giochi, perchè siano, il più possibile, essi stessi promotori dei nuovi programmi. Se ci pensate, siamo tutti, in effetti, prede del coinvolgimento di familiari, datori di lavoro e istituzioni, ma anche di associazioni, amici o fedi religiose. A volte il coinvolgimento ci piace e a volte no. Ma spesso un coinvolgimento che ci sembra negativo è così solo perché sono sbagliate le modalità, dato che come esseri senzienti, non potremo mai produrre nulla di positivo senza il necessario coinvolgimento di altre persone e noi stessi nella comunità. Quindi, il coinvolgimento è un atto necessario e positivo.

Anche perché, poi, bisogna passare al fare. Non ci interessano, in linea di principio, i semplici buoni propositi. Il nostro non è un pensiero speranzoso che attende di essere realizzato da altre persone. Noi vogliamo cambiare, perché ci aspettiamo dei benefici, sappiamo che va fatto in un certo modo, sappiamo che potremo farlo solo in un determinato contesto, con il coinvolgimento di altre persone, ma sappiamo anche che non ce la faremo mai se noi stessi non siamo pronti a fare, fare meglio e fare subito quello che abbiamo programmato. I risultati che vogliamo ottenere sono molto concreti, così come saranno concreti i benefici che ne trarremo, e per questo siamo pronti a metterci in gioco. Chi ha qualche dubbio, d'altra parte, sarà spronato dal gruppo: ricordiamo, infatti, che la produzione del cambiamento è sempre condizionata dal contesto e dalle altre persone. Inoltre, fare le cose e fare cose nuove può essere anche un piacere di per sè; non sempre, ma spesso produce euforia e piacevoli sensazioni di capacità e autostima.

Naturalmente, il progetto deve assolutamente prevedere dei momenti di controllo. Ciò significa che le azioni messe in piedi devono condurre al raggiungimento di precisi obiettivi, stabiliti su parametri e standard ben definiti e assolutamente misurabili. E' molto semplice. Supponiamo di voler ridurre i costi di produzione, cioè i costi per unità prodotta. Se si vuole incentivare il personale a raggiungere una produttività maggiore, occorre sapere innanzitutto come misurare la produttività e poi come misurare i parametri che la influiscono, e soprattutto come misurare quei parametri che restano sotto il diretto controllo del personale coinvolto. Insomma, non bisogna fare l'errore di confondere il risultato finale con le diverse attività delle singole persone, perché altrimenti queste non capiranno quale sia il loro vero coinvolgimento nel programma. Si può però definire dei parametri e degli obiettivi di squadra. Anzi, quasi sempre gli obiettivi di squadra sono preferibili quando diverse persone hanno compiti simili, per il semplice motivo che queste persone avranno un motivo in più per influenzare positivamente gli atri e farsi influenzare in modo positivo.

Quasi sempre un programma di cambiamento e miglioramento ha bisogno di una fase di revisione del progetto. A volte la riprogettazione è evidentemente necessaria, altre volte è opportuna anche se non necessaria, e altre volte ancora è addirittura anelata, perché magari, come si dice, l'appetito vien mangiando! Insomma, cambiare il programma è una cosa normale; si tratta, in fin dei conti, di essere pronti a cambiare qualcosa in un programma che è un programma di cambiamento, appunto. Inoltre, un altro momento di revisione del progetto, sicuramente necessario, opportuno ed anelato, è quello in cui si dovrà e si vorrà celebrare, tutti assieme, gli ottimi risultati ottenuti. Non bisogna sottovalutare l'importanza delle celebrazioni: probabilmente, sono i momenti più belli della nostra vita, soprattutto quando sono il frutto del nostro lavoro ed impegno, piuttosto che un anniversario o qualcosa del genere, perché magari nella nostra celebrazione non ci sono obblighi ma piuttosto una ferma e decisa volontà di riconoscere i nostri risultati, concreti, e quindi di stimarci anche meglio e avere voglia di ricominciare il ciclo virtuoso.

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